“L’amore dimostra la sua
vera natura allorchè educa”
J.Hillman
E’ come se nel labirinto fossero all’opera delle forze che sciolgono e coagulano intere porzioni del paesaggio. Ciò che è rilevante per alcuni di noi è, a volte, poco significativo per altri: l’attenzione viene catturata da certi particolari e più il nostro focus si sofferma su un oggetto più quello sembra stagliarsi rispetto allo sfondo mentre il resto scompare.
Succede così che quando ci innamoriamo di qualcosa o, più probabilmente, di qualcuno questi diventi l’oggetto principale, ciò che dà intensità al nostro sentire e che cattura continuamente la nostra mente.
E, proprio come nella storia di Amore e Psiche, una volta che la mente è stata afferrata non abbandona la presa finchè… finchè non è stata trasformata dall’atto stesso di voler raggiungere e di desiderare ciò che considera l’oggetto del desiderio, ciò che la renderà appagata e finalmente realizzata.
Non è un caso che Platone nel Simposio faccia dire a Socrate che Eros è figlio di Poros e Penia. Poros, infatti, è l’ingegno, l’espediente, ciò che la mente affila e affina per incidere sulla Realtà e per piegarla al proprio volere, mentre Penia è la povertà, il bisogno, ciò che ci spinge a cercare per riempirci e per colmare il vuoto che sentiamo dentro di noi.
Narra il mito che il giorno della nascita di Afrodite gli dei diedero una festa e Poros, che vi era stato invitato, bevve così tanto del nettare che in quel banchetto veniva distribuito che cadde ebbro nel giardino di Zeus. Penia, che a quell’evento era andata, come suo solito, a mendicare, lo vide e approfittando del suo stato giacque con lui restando incinta. Dalla loro unione nacque Eros. Ed Eros se ne va in giro per il mondo “vestito di stracci” sempre alla ricerca di ciò che lo farà sentire intero, aguzzando l’ingegno per trovare il modo di raggiungere e “finalmente possedere”.
Quando Psiche incontra Eros ne è pervasa e non può che esserne trasformata. E quando Eros incontra Psiche ne è psichizzato.
Se guardiamo all’eros come ad un istinto (non è esattamente così ma è comodo, per il momento, guardare in questo modo) vediamo che mentre negli animali la spinta alla procreazione, all’aggregazione e al raggiungimento viene semplicemente agita, negli esseri umani questa stessa spinta può essere posticipata o spostata.
Come dice Hillman, parafrasando Jung: “La psiche può domare le coazioni (oppure intensificarle), può posporre la scarica e spostare le mete di soddisfazione. Tutto ciò che sappiamo degli istinti in noi stessi è già passato attraverso processi di psichizzazione. Abbiamo soltanto quelle percezioni dell’istinto che sono state filtrate attraverso il prisma della nostra psiche.” (Il mito dell’analisi, pag. 47).
In altre parole quando uno di noi umani sente una spinta verso un oggetto, quando mi accorgo di desiderare qualcuno o qualcosa, posso “muovermi verso”, protendermi, decidendo la velocità, l’intensità e il modo con cui mi avvicino all’oggetto. Posso osservare le sue reazioni: le piaccio?, accetta il mio corteggiamento?, come posso farmi vedere in modo che sia lei/lui a desiderarmi e ad invitarmi?
Se fossi Pan, metà dio e metà capro, tutto si risolverebbe secondo Natura: la ninfa, intenta ad esprimere la propria innocenza, immersa nell’ambiente che la circonda, si accorge di me e ne rimane terrorizzata, fugge in preda al panico, ma non ha scampo… la raggiungo e “la conosco” unendomi così all’oggetto del mio desiderio. Ma siamo umani e, anche se ciò che è rimasto in noi dell’istinto richiede appagamento, possediamo una psiche: non ci muoviamo più semplicemente secondo Natura, la psiche modula e rende estetiche le nostre azioni; tutto è più complesso: Eros e Psiche si muovono insieme e devo tener conto di una quantità di altre variabili… invece di inseguirla e possederla mi toccherà scriverle un sonetto!
Sotto tanti punti di vista è una fortuna (soprattutto per la ninfa) e comunque, da che mondo è mondo, per noi umani le cose stanno così: in noi anche uno degli istinti più fondamentali, raggiungere ciò che ci piace o, psicoanaliticamente, “massimizzare il piacere e minimizzare il dolore”, è mediato da una funzione che rende complesso il nostro agire e sottopone l’hybris, la volontà di potenza, alla temperanza e alla Cultura.
Ogni selva è per l’essere umano “giardino”.
E come dice P.Sloterdijk: “I giardini sono aree recintate nelle quali le piante incontrano le arti. Essi rappresentano ‘culture’ nel senso non compromesso della parola. Chi entra nei giardini dell’Umano si imbatte negli spessi strati di azioni regolate, interiori ed esteriori, dotate di una tendenza a fungere da sistema immunitario al di là dei sostrati biologici.” (Devi cambiare la tua vita, pag. 16).
La psiche è, allo stesso tempo, sia il sistema immunitario che il giardino. Continuamente spinta e fecondata da Eros ne modula le istanze e “tiene conto dell’esterno”.
Ognuno di noi senza questo sistema immunitario si muoverebbe come perso nella vita senza la possibilità di trasformare gli istinti di base (nutrizione, procreazione, aggressività e fuga) in quello che Jung definì “il creativo”. In chi è dotato di psiche (chissà forse anche qualche animale lo è): “L’aggressività può essere l’analogo della ‘pulsione all’attività’ di Jung e la fuga l’analogo della ‘riflessione’ che è, come egli dice, una reflexio, un ‘ripiegare’, allontanandosi dallo stimolo, un volgersi all’interno, allontanandosi dal mondo e dall’oggetto e volgendosi a immagini ed a esperienze psichiche (scrivo il sonetto perché riesco a riflettere rivolgendomi all’interno invece di agire semplicemente d’istinto).” (Il mito dell’analisi, pag. 47 e corsivi fra parantesi miei).
E così nel labirinto della psiche, nel giardino, Eros danza una danza che non è più il semplice muoversi della volontà verso ciò che mi piace ma, piuttosto, un tener conto dell’altro, un necessario entrarne in relazione.
Fino all’inibizione, a volte, e alla sottomissione a quel “principio di realtà” che nell’uomo spinge a “fare ciò che è giusto” piuttosto che semplicemente “fare ciò che mi piace”.
E, in noi, non è dato eros senza che sia data psiche e viceversa.
Ma che ne è della distruttività? Che ne è dell’altra forza? Se è vero che l’eros aggrega, avvicina e coagula fra di loro gli uomini che, come animali sociali, sono in grado di organizzarsi, di collaborare e di costruire dei legami; se è vero che la psiche, spinta dall’affinità e dall’amore, ha costruito il giardino che la rappresenta, che ne è di tutte quelle spinte che invece disgregano, disfano, allontanano e fomentano l’odio e la divisione?
Be’… Eros ha un fratello: una sorta di ombra o di altra faccia della medaglia. Thanatos (morte in greco) più che il contrario di Amore ne è in qualche modo la controparte. Nei miti che ne parlano questo archetipo è a volte visto come figlio della notte e fratello di Hypnos, il sonno, altre volte come una forza primigenia che nasce nella notte dei tempi e insieme ad Eros informa continuamente la vita e, necessariamente, la psiche.
I miti non vanno presi alla lettera. Sono piuttosto dei modi per dar conto e per narrare di forze che intuiamo nel profondo della nostra anima e nelle pieghe della realtà.
Dire che Thanatos è il fratello di Eros è dire che in ognuno di noi, di fianco ad una pulsione di vita (aggregare, unire, coagulare, connettere, amare, far parte…) c’è una pulsione di morte (disgregare, disgiungere, combattere, annichilire, odiare…).
Già Empedocle, uno dei presocratici, parlava dell’eterna lotta fra philia (amore, amicizia) e neikos (odio, discordia). Freud prende esplicitamente a prestito da questo filosofo quando, teorizzando quella che chiamò Pulsione di Morte, disse: “Il nostro interesse si accentra su quella dottrina di Empedocle che si avvicina talmente alla dottrina Psicoanalitica delle pulsioni, da indurci nella tentazione di affermare che le due dottrine sarebbero identiche se non fosse per un’unica differenza: quella del filosofo è una fantasia cosmica, la nostra aspira più modestamente a una validità biologica. I due principi fondamentali di Empedocle – philia (amore, amicizia) e neikos (discordia, odio) – sia per il nome che per la funzione che assolvono, sono la stessa cosa delle nostre due pulsioni originarie Eros e Distruzione.” (Freud, Analisi terminabile e interminabile, 1937).
Per Freud queste pulsioni sono sempre accoppiate, come a dire che a fianco del desiderio di vita che ci spinge ad esplorare e a raggiungere, c’è un desiderio di morte che tende a stabilizzarci e a mineralizzarci, a placare ogni spinta portandoci verso una forma di esistenza inorganica.
Personalmente preferisco la descrizione che di queste tendenze dà Hillman: “Eros è anche una faccia di Thanatos, racchiude entro di sé la morte (la componente inibitoria che tiene a freno la vita) e conduce la vita nell’invisibile regno psichico “al di sotto” e “al di là” della semplice vita, dotandola di significati conferiti all’anima dalla morte.” (Il mito dell’analisi, pag. 38).
Una descrizione delle forze all’opera nella psiche che si basi solo sulla vitalità prescindendo dalla tendenza alla stasi e all’annullamento delle tensioni, sarebbe monca.
Occorre guardare Eros vedendolo anche come portatore di morte.
Ma per una singola cronaca può bastare.
Nella prossima continuerò con alcuni brevi cenni sulla danza che entrambe queste potenze svolgono nel giardino di psiche.
Lascio però, come un esercizio alla fine di questa, il link (eros collega e associa) all’intervista che Hillman ha rilasciato sul letto di morte a Silvia Ronchey. Mi sembra che in essa si possa cogliere quanto questo autore abbia tentato fino all’ultimo di affrontare socraticamente la vita e la morte.
Come egli ebbe a dire nel 1972, quando aveva 46 anni, parlando della morte del grande filosofo greco: “La sua morte non è stata contrastata dal suo diamon. La morte è stata piuttosto l’espressione finale dell’unione realizzata fra eros e psiche, l’atto finale del suo processo costruttivo – distruttivo, la sua testimonianza del fare anima, comprovata dalla sua fede nell’immortalità della psiche e dall’effetto esemplare su chi gli era vicino.” (Il mito dell’analisi, pag. 88).